Riporto questo interessantissimo articolo di
Sergio Paleologo comparso sul giornale on-line Linkiesta.
In questo articolo ci sono tutte le RAGIONI per cui l'Italia non cresce e per cui ci sarebbe invece bisogno di
vera politica.
Perché si dovrebbero aprire nuove aziende?
Perché si dovrebbero assumere nuovi dipendenti?
Creare un'impresa è un'esperienza bellissima, è IL motore dell'economia di un Paese ma, perché intraprendere se poi tutto viene complicato, rincarato vanificato da una marea di norme, codici e regolamenti?
In Italia non serve (o non basta più) abbassare le tasse, è indispensabile sfoltire la foresta di norme, decreti, regolamenti che rendono molto più onerosa l'attività imprenditoriale rispetto ad altri paesi.
Il vero spread è quello burocratico, e questo articolo di
Sergio Paleologo lo spiega in maniera esemplare.
"La burocrazia, tramite corsi e scartoffie, fa esplodere un carico fiscale già da record mondiale.
Per ogni euro dichiarato lo Stato chiede agli imprenditori 55 centesimi. A tale percentuale vanno aggiunti altri prelievi. Il che rende l’Italia il Paese con la pressione fiscale più alta al mondo. Il carico fiscale complessivo, considerando imposte sugli utili, imposte sul lavoro e altri oneri, arriva infatti al 68,3% dei profitti. Meglio del 2012 quando si arrivava al 68,5% ma comunque quasi 26 punti in più della media europea e 24 della media mondiale. Eppure non è finita. Perché esiste anche una lista di tasse occulte fatte da corsi obbligatori per la formazione del personale che molto spesso si dimostrano mera burocrazia, certificazioni che sono scartoffie, documenti dei quali non si capisce l’importanza ma che non possono essere snobbati pena il penale. Scusate il gioco di parole, ma s’impone. Soprattutto se si deve spiegare a un artigiano che è tenuto a portarsi a casa per la bellezza di 160 euro + Iva un certificato contro lo stress da lavoro correlato.
Che cosa è? Da enciclopedia può essere definito come la percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore quando le richieste dell’ambiente lavorativo eccedono le capacità individuali per fronteggiare tali richieste. In pratica un documento da tenere giusto nel cassetto perché se c’è un controllo va esibito. Contro i rischi infatti è da tempo già obbligatorio il Dvr, documento per la valutazione dei rischi, che va redatto tramite un professionista che chiede almeno 390 euro + Iva di parcella. Da tenere nel cassetto c’è anche la certificazione sul rumore (300 euro + Iva), quella sulle vibrazioni (300 euro + Iva), quella relativa alla movimentazione manuale dei carichi (300 euro + Iva), il Pos, piano operativo per la sicurezza (200 euro +Iva).
Non fraintendiamo, la sicurezza è sacrosanta, ma quando le norme nazionali o regionali diventano un labirinto di certificazioni viene il dubbio che siano solo un giro di parole per prelevare altro denaro dalle aziende. Senza contare la lunghissima lista dei corsi obbligatori di formazione, che ovviamente si possono e devono svolgere, grazie ai sindacati, soltanto durante l’orario di lavoro. Niente sabato né straordinari. Ci mancherebbe che qualcuno in Italia salvaguardi la produttività. Pensate per esempio a un artigiano con quattro o cinque dipendenti che si occupa di impianti termoidraulici. Per poter essere in regola nell’arco di un quinquennio avrà speso più di 4mila euro e sottratto alla produttività circa 250 ore lavorative. Almeno 24 per la formazione generica del personale. Quattro ore per far montare e usare il trabattello e 16 per il carrello elevatore. Altre dieci per formare chi usa le piattaforme elevabili. Quattro per i lavori in quota e otto per chi lavora in spazi confinati. Ovviamente ci sono i gas refrigeranti e il corso da 16 ore costa 1.500 euro. Molto meno, 560 euro + Iva, quello per responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) che però porta via ben 48 ore iniziali e 14 per ogni aggiornamento. Per fortuna tocca farlo solo ogni cinque anni.
È obbligatorio anche il corso per il primo soccorso. Almeno un dipendente in azienda deve sapere come soccorrere un collega in caso di infortunio. Sperando poi che non debba mai farlo. Immaginatevi un intervento maldestro quali cause legali potrebbe mettere in movimento, quando si può semplicemente chiamare il 118. Non poteva mancare il corso antincendio da 8 ore. Dal 4 marzo scorso per chi opera «attività di apposizione della segnaletica per la delimitazione di cantieri stradali in presenza di traffico veicolare» è obbligatorio un corso apposito. Anche se ancora non si sa se potrà essere di 8 o di 12 ore. Tanto meno quanto costerà all’azienda. Però è già stato deciso che ogni quattro anni andrà fatto l’aggiornamento per un totale di 3 ore.
Ogni attività ha la sua singola croce burocratica, ma nel complesso il leit motiv non cambia. Un artigiano che fa l’imbianchino ogni cinque anni deve mettere in conto almeno 290 ore per i corsi dei dipendenti con costi che si aggirano sul migliaio di euro all’anno. Un costruttore edile più di 300. Senza contare che a entrambe spettano le certificazioni su rumore, vibrazioni, movimentazione carichi manuali e altri documenti per almeno 1.500 euro. Mentre a ogni cantiere provvisorio si deve compilare il Duvri (Documento unico per la valutazione rischi da interferenze) che serve per prevenire i rischi da interferenze, tipo sostanze chimiche con scintille. E per circa 800 euro, se ci sono ponteggi, compilare anche il Pimus: il Piano di montaggio uso e smontaggio.
«A pesare sulle nostre aziende in questo caso non sono tanto i costi», commenta Mario Pozza presidente di Confartigianato Marca Trevigiana che ha collaborato con Linkiesta per mettere uno dietro l’altro i costi dei corsi e delle certificazioni, «ma il tempo che si perde per svolgere le pratiche burocratiche e il tempo che non può essere dedicato al lavoro. Da anni tutti parlano di produttività, ma in realtà la situazione peggiora. Il numero dei corsi e degli obblighi aumenta invece di diminuire. L’ultimo caso riguarda la manutenzione dei condizionatori. Chi maneggia il gas fluorurato deve avere un patentino apposito. La deroga è scaduta. Il governo nonostante avesse preso un impegno concreto nel prorogarla non ha ancora dato indicazioni precise in Gazzetta».
Ma questa è solo una piccola delusione per uno dei distretti un tempo più ricchi del Nord est. «Siamo in attesa di serie riforme del mondo del lavoro, di un alleggerimento del costo del lavoro, di un accesso al credito agevolato rispetto ai muri che oggi alzano le banche», aggiunge Pozza, «eppure, fino a oggi, cosa ha prodotto il governo Letta? La sospensione dell’Imu sulla prima casa, che non produrrà alcun effetto concreto contro la crisi. Però l’Imu verrà tolta anche ai terreni e capannoni agricoli. E stop. Sia ben chiaro», conclude Pozza. «Non sto attaccando le altre categorie ma chiedo: che differenza c’è tra l’agricoltura di trasformazione, che non pagherà l’Imu sui capannoni, e un capannone artigianale? Ve lo dico io: nessuna. E quindi: perché non si viene incontro anche agli artigiani, già piegati da affitti spesso raddoppiati? Per fortuna che Letta è andato all’assemblea di Rete Impresa Italia a rassicurare la categoria…».
Post scriptum: tanto per rallegrare i giovani, abbiamo omesso i costi di avvio delle attività. Scriviamo solo che chi parte con una ditta individuale di trasporto merci per conto terzi tra iscrizioni, albi, certificazioni non spenderà meno di 4mila euro se lavora con un furgone. Con un camion non meno di 6.600 euro."